Ci siamo dimenticati della COMPASSIONE?
Vivendo i social in questi duri giorni di epidemia osservo che quasi nessuno ha onorato molto né i morti né i loro familiari – Facebook mi ha addirittura censurato un post del 17 marzo dove li stavo commemorando
Benvengano i flash mob per il personale sanitario e altrettanto ben venga un pensiero della collettività di accompagnamento per le anime dei defunti e di compassione per il dolore dei familiari.
Non è questione religiosa è questione di umana convivenza.
Se il dolore è condiviso fa un po’ meno male. Questo significa COMPASSIONE, patire assieme, mutualità nella sventura, dividersi un po’ il peso del dolore perché sia più lieve per chi ne è vittima. È così da milioni di anni. È così anche nel mondo animale. Ma a noi “umani” che cosa ci sta succedendo?
È possibile che non sappiamo più gestire le nostre emozioni?
Osservo che la fuga dal dolore – e l’evitamento delle emozioni cosiddette negative – è diventato un aspetto preoccupante di questa nostra società. È causa di isolamento, di emarginazione e di pericolosi comportamenti antisociali.
Ma torniamo al tema di questa riflessione.
È vero che non riusciamo più a provare compassione?
Il blocco della vendita di mascherine all’Italia da parte dei nostri vicini di nazione può essere un esempio?
E siamo sicuri che anche ognuno di noi ne sia immune?
In Italia i defunti per l’aggravamento delle loro condizioni a causa del COVI-19 sono per la maggior parte persone anziane, ed è proprio qui il punto che mi addolora.
Mi sembra che chi è “vecchio” non sia più considerato il saggio da rispettare. È assimilato a cose vecchie, demodè. La parola vecchio ha assunto un’accezione negativa. Come è possibile che sia accaduto?
Non si ascoltano più le storie dei nostri vecchi che ci facevano conoscere la storia della nostra famiglia e ci aiutavano a conoscere meglio il nostro mondo. I vecchi vengono quasi snobbati, ma senza radici l’albero non può crescere forte e rigoglioso. Non si onorano più i vecchi in quanto depositari di esperienza; si considerano stantii, superati, antichi. Non sono i privilegiati della nostra società; sono spesso gli emarginati in attesa di transizione che costano troppo al sistema.
Questo periodo di quarantena spero ci possa far ritornare a “sentire” le nostre emozioni senza averne il timore.
Non si tratta di accettarle né di tollerarle. Non sono difetti o fastidi: sono la cosa più bella che ci potesse capitare, se ritorniamo a godercele e a usarle a nostro vantaggio, come vuole Madre Natura. Forse dovremmo riconsiderare un po’ le nostre percezioni e i nostri valori.
Le emozioni ci aiutano a vivere meglio, non solo a sopravvivere.
Una preghiera per i nostri cari che ci hanno lasciato e un abbraccio fraterno, ancorché a distanza, a tutti i nostri amici, connazionali, sorelle e fratelli che hanno perso i loro affetti in modo così solitario, inumano e doloroso.
La compassione è l’emozione più importante dell’essere umano. Lo dice anche il Dalai Lama.
Buone Emozioni a tutti noi e… VIVA L’ITALIA
Antonio Meleleo
#emotionalpower
Una volta un settantenne era consiserato vecchio, oggi a 70 anni si è ancora giovani. Grazie a medicina, stili di vita e benessere la vita media si è allungata. Ma non siamo immortali e le risorse non sono illimitate. I “vecchi” erano più rispettati quando non diventavano tropppo “vecchi” perché costavano meno e il periodo fra la vita attiva e la morte era piuttosto breve. È cambiata la società e con essa i rapporti fra le generazioni. Non so se sia un bene o un male, è il prezzo da pagare per vivere più a lungo.