Come motivare gli altri e migliorare la performance: meglio la ricompensa o la punizione?
L’arte di motivare le persone e, perché no anche sé stessi, ha a che fare con una serie numerosa di variabili. Con lo sviluppo del Me.To.Do.® di Emotional Power abbiamo provato a concentrarci sulle variabili più significative che influenzano una decisione.
Le emozioni sono uno dei protagonisti più importanti perché rappresentano gran parte del potere che influenza la mente degli individui (pag. 77 del libro Emotional Power). Riuscire ad eliminare i fattori di disturbo che influenzano una decisione per arrivare agli elementi essenziali sui quali puntare, diventa così una via più facilmente percorribile per dare motivazione a sé stessi e agli altri. Le nostre prestazioni, e di conseguenza il risultato, sono proporzionali a quanto ci sentiamo sicuri delle nostre decisioni; la fiducia nella nostra capacità di decidere è influenzata da fattori economici: desiderio del guadagno o paura della perdita.
Daniel Kahneman, nel suo libro “pensieri lenti e veloci” sostiene che le ricompense per aver migliorato il rendimento sono più efficaci delle punizioni per aver commesso un errore. Questo principio è corroborato da molte prove provenienti dalle ricerche sui colombi, ratti, esseri umani e altri animali.
Un esperimento interessante
In un recente articolo pubblicato da Neuroscience nell’aprile 2019, vengono riportati i risultati di un interessante esperimento che ha tentato di indagare quando funziona meglio una ricompensa o quando una punizione. Insomma, hanno tentato di capire quando è meglio usare la carota o il bastone.
Ecco alcuni spunti di riflessione tratti dall’articolo. “Lo studio dell’Università di Ginevra (integralmente visionabile sulla rivista PLOS Computational Biology) ha testato 84 partecipanti per indagare la distorsione della fiducia nel contesto dell’apprendimento basato su ricompensa o punizione, noto come apprendimento di rinforzo, e per valutare quanto la fiducia nel prendere decisioni possa incidere sulle prestazioni. Mael Lebreton, del centro svizzero di scienze affettive (CISA), spiega che ricercatori dell’UNIGE hanno mostrato ai partecipanti due simboli astratti su uno schermo. Un simbolo era associato ad una probabilità del 75% di vincere 50 centesimi ed il secondo solo al 25% di probabilità di vincere. In ogni prova i partecipanti dovevano scegliere uno dei simboli per cercare di vincere, e dovevano valutare quanto erano sicuri della loro scelta. Il principio è poi stato invertito per la perdita: ai partecipanti è stato chiesto di selezionare il simbolo associato alla minore probabilità di perdita e poi valutare la precisione delle loro decisioni. I risultati iniziali hanno dimostrato che la capacità di apprendimento è statisticamente identica quando i partecipanti imparano a cercare guadagni o ad evitare perdite, ma essi erano molto più fiduciosi quando si trattava di fare soldi piuttosto che evitare di perderli. Questa differenza mostra l’esistenza di un bias nei giudizi di apprendimento e di fiducia introdotto dal contesto economico. Tuttavia l’aumento della fiducia in un contesto di guadagno non è necessariamente una buona cosa. La ricerca di profitto/ricompensa aumenta la fiducia in sé stessi e il benessere, stimola decisioni più veloci, ma rende più inflessibili perché innesca la convinzione che ciò che ha pagato una volta pagherà sempre. In un contesto negativo, il timore di perdita/punizione induce le persone a dubitare delle loro scelte, a valutare più accuratamente prima di decidere e ad essere più flessibili ed aperti al cambiamento. Ma questo dubbio potrebbe trasformarsi in ansia e potenzialmente far perdere tutta la loro fiducia. Quindi il metodo (bastone o carota) dovrebbe essere adattato a ciò che vogliamo che un individuo impari e come (…) e poi scegliere tra ricompensa e punizione a seconda dell’obiettivo da raggiungere…”
Kahneman ci ricorda, inoltre, che i picchi di performance sono destinati ad allinearsi nel modello di “regressione verso la media” che si presenta quando la correlazione fra due misure è imperfetta, per cui la ricompensa per un buon risultato non implica necessariamente il reiterarsi di performance altrettanto positiva così come alla punizione per una prestazione negativa può seguire un risultato migliore.
Speranza (del premio) o paura (per la punizione), e se le due emozioni coesistono?
Un altro contributo stimolante ci arriva da Willy Strategy Management, che in un suo recente articolo (Which matters more? Group fear versus hope in entrepreneurial escalation of commitment) espone le più recenti ricerche in questo ambito, con particolare riferimento alle dinamiche di gruppo applicate in ambito finanziario.
Nella storia evolutiva la paura è un’emozione prevalente perché spinge a decisioni veloci, istintive, quindi garantisce maggiori possibilità di sopravvivenza. La speranza è meno automatica e richiede processi mentali più complessi. Tuttavia, all’interno di un gruppo la paura demotiva, disimpegna e rende più propensi ad abbandonare l’impresa, mentre la speranza consolida le relazioni, focalizza l’impegno e aumenta la determinazione. Quindi le ricerche confermano che quando paura e speranza coesistono, è quest’ultima a trionfare: i membri del team si focalizzano sul risultato e il legame che si instaura li spinge a voler continuare a collaborare.
Ma usare solo queste due emozioni per motivare le persone sarebbe riduttivo, la complessità dell’essere umano ci offre il modo di rendere ancor più preciso il nostro agire. Un modo è quello di iniziare dalla mappa delle emozioni (pag. 125 del libro Emotional Power) per individuare con maggior precisione quali emozioni e-muovono noi stessi e gli altri. Questo passaggio può diventare dirimente per fare un salto di sensibilità e quindi per comunicare con efficacia in ogni ambito: in un gruppo di lavoro, nelle relazioni interpersonali o nei rapporti familiari, perché il giusto mix di emozioni (del malessere e del benessere) è ciò che porta a risultati migliori.
L’importanza della carota per aumentare autostima e umiltà.
Un altro contributo importante ci viene da McKinsey che ha recentemente pubblicato uno stralcio della partecipazione di Adam Grant ad eventi organizzati dalla Società per clienti e partner (www.mckinsey.com/about-us/new-at-mckinsey-blog/adam-grant-on-modern-leadership). Grant ha discusso del tema della “better practice” di leadership. La “migliore prassi” non esiste, il meglio è costantemente migliorabile. Ritiene che per un buon leader sia fondamentale l’umiltà, intesa non nel significato corrente di bassa autostima o essere mansueto, ma nella sua accezione più antica (dal latino umus: “dalla terra”) quale espressione di fiducia in sé stessi: “ciò che la ricerca mostra costantemente è che i leader che sono abbastanza sicuri dei loro punti di forza da ammettere le loro debolezze e vulnerabilità, in realtà ottengono idee migliori dalle persone che li circondano, imparano di più e ciò alla fine consente di guidare in modo efficace”.
Lo strumento della ricompensa (carota) innesca quindi un meccanismo virtuoso: fa crescere la fiducia che è alla base dell’umiltà, dote necessaria ad un buon leader. Ma va saputo usare con maestria.
Più in generale è cruciale saper riconoscere le emozioni, valorizzarle per il loro significato più puro (ad esempio l’umiltà non va confusa con la sottomissione) e saperle usare per ottenere riscontri positivi.
In considerazione delle numerose variabili, come possiamo motivare in modo efficace?
Sembra un percorso difficile.
In realtà è molto più semplice di quanto pensiamo: giuste informazioni e allenamento portano a risultati insperati. In Emotional Power (pag. 113-193) trovi spunti per sviluppare con Me.To.Do.® queste abilità, affinché tu possa sfruttare in modo consapevole la potenza che si annida nelle emozioni. Puoi usarle per essere più efficace, evitando manipolazioni, malintesi e distorsioni involontarie dettate dalle abitudini che ci sono state create.
Con il Me.To.Do.® applichiamo la gestione consapevole delle emozioni per creare relazioni più armoniose e migliorare gli effetti della comunicazione. Nel libro Emotional Power (pag. 104-105) è spiegata la stretta correlazione fra desiderio e motivazione: il desiderio è la descrizione della motivazione, è la storia che vive la mente. Se il racconto non parla al cuore del cervello di chi lo ascolta, alle emozioni, al desiderio di quelle emozioni che si vogliono provare una volta raggiunto l’obiettivo… non avverrà nessun cambiamento. Il desiderio ha una accezione persuasiva profondamente motivazionale: saper formulare correttamente i desideri ed aiutare gli altri a farlo, riuscire a viverli intensamente nella mente, è determinante per trasformarli in obiettivi reali.
L’intensità delle emozioni trasforma lo sforzo in forza!
#emotionalpower